giovedì 29 aprile 2010

Gnomi e cognomi.

Capitolo 1



84 statuette di gnomi, dimensione 36 x 21 x 8 cm, disposte in file ordinate, divisi cromaticamente per rallegrare un prato che per meglio dire un prato lo era stato ma che adesso era solo una distesa di terra incolta e marrone di Tunisi.
12 di loro portavano sulle spalle un sacco, 21 spingevano una carriola, 34 avevano in mano fiori diversi, 10 si davano da fare con pale e picozze, 6 disponevano di un annaffiatoio decorato con margherite e 1 con i pantaloni calati mostrava il deretano con fare sprezzante.
Tutti riconoscevano il cattivo gusto di quel singolo elemento, ogni abitante del quartiere lo guardava con disgusto. Un singolo capello fuori posto che rovinava il lavoro di una vita di un povero pensionato oramai vedovo da una decina di anni.
Tutte le sue stanche forze erano riposte nell´ossessiva ricerca dell´ordine perfetto, della disposizione aurea degli gnomi, una compulsiva e maniacale quanto costante ricerca dell´assoluto.
Ogni giorno, dopo essersi svegliato intorno alle 6 e 45, investiva pochi minuti per fare una ripetitiva colazione e sporadicamente investiva ancora meno tempo nell´igiene personale.
Le considerava inutili distrazioni, il giardino era disordinato e tutto il tempo che riusciva a ricavare durante la sua centillinata veglia doveva essere sfruttato a dovere.
In cucina le stoviglie ammuffite formavano infinite colonne maleodoranti, sembrava una necropoli di porcellana, un pantheon di piatti piatti e piatti piani. Di posate ve ne erano meno, dopo un inizio strafottente aveva optato per il riutilizzo quindi leccava a dovere la forchetta preferita e puliva sul risvolto dei pantaloni l´ormai usurata lama del coltello con il manico in legno ricevuto in gioventú come premio per essersi distinto nelle attivitá extra del locale gruppo di BoyScout. Di cucchiai non ne voleva sentire parlare, non credeva nei cucchiai. Perché serivirsi di qualcosa che puó essere comodamente sostituita da un piú pratico bere direttamente la zuppa da una tazza da thé?
Con l´ausilio di un vecchio ombrello dalla punta in avorio era stato in grado di solcare nel terreno un quadrato pressoché perfetto, 9 gnomi per 9, l´abbondanza di 3 che ne usciva era invece vista come una specie di giuria che controllava il lavoro di tutti gli altri.
Una situazione tipo X-Factor. La giuria era capitanata da Capitan Chiappa, cosí era stato soprannominato lo gnomo burlone, del tutto inutile rispetto agli altri quindi meritevole di ricoprire un ruolo superiore.
E poi amava le facce di disgusto dei vicini, amava osservarli di nascosto mentre si domandavano perché 81 gnomi erano disposti quasi in adorazione davanti a quelle rosee natiche, amava allontanarli mentre li etichettava come guardoni, voyeur, pervertiti della domenica.
Quel giardino e quegli gnomi erano la sua unica ragione di vita da quando era rimasto solo a badare alla casa. La sua povera moglie era morta davanti ai suoi occhi, una vicenda che sa di assurdo: investita da un Tir nel bel mezzo del giardino.
In cosa consiste l´assurditá dell´evento?
Il piccolo quartiere in stile regimental era situato a 15 km da un qualunque centro urbano di minime dimensioni, una sola strada collegava questo paradiso per pensionati al mondo esterno ed era una piccola strada per lo piú asfaltata ma che presentava parecchi tratti sterrati a causa di un insofferenza generale degli abitanti nei confronti dell´investire soldi per metterla apposto.
Nel quartiere si poteva trovare tutto, un piccolo supermercato, un calzolaio, una sartoria, un ristorante gestito da una famiglia ebrea e un chiosco di giornali.
Il supermercato era quotidianamente rifornito dai contadini locali che vi portavano tutto quello che producevano: frutta e verdura, carne, farina, olio e uova. Aveva anche un buon reparto piuttosto fornito di detersivi e oggetti per pulire casa e in piú, vicino alla cassa, su di un tavolo bianco alto meno di un metro da terra, ogni mese arrivava una novitá tecnologica.
L´ultima in ordine d´arrivo era stata la prima tv a schermo piatto che il quartiere avesse mai visto. Nessuno peró si era fidato della mancanza del tubo catodico e allora l´oggetto era rimasto invenduto.
Il calzolaio e la sartoria facevano per lo piú lavori di riparazione dato che nessun abitante investiva denaro per l´acquisto di una scarpa o di un vestito nuovo da almeno 25 anni. E´forse questo il bello di diventare vecchi, il rimanere fermi con lo stesso vestito addosso che non si rovina e non cambia mentre la propria pelle si deteriora, logora e decade.
La famiglia ebrea aveva in gestione il ristorante da un paio d´anni, erano subentrati ad una famiglia turca che aveva deciso di lasciare il locale a causa dello scarso interesse riscosso negli abitanti. La nuova famiglia era molto gentile, la madre e il padre amavano cucinare e si amavano cucinando, la sorella della madre, single da sempre, era molto brava nelle relazioni interpersonali e la unica figlia era anche l´unica abitante sotto i 20 anni residente nel quartiere.
Non era bellissima, peró aveva davvero tutte le carte in regola per diventarlo. Purtroppo non era spronata a curarsi, a pettinare i lunghi capelli biondi, vestirsi con qualcosa di un pó piú adeguato al suo fisico esile. La piú grande pecca restava comunque la cura per la pelle, lavorando in un ristorante aveva il viso sempre lucido e tendente al grasso, le mani erano usate per lavare piatti su piatti e quindi secche e pallide, i piedi e le gambe erano giá segnati dallo stare sempre in piedi dietro ad un bancone a soddisfare le voglie alcoliche di bavosi anziani.
Il non curarsi era comunque una scelta ragionata, giá cosí era continuo oggetto di fischi e apprezzamenti da parte del reparto geriatria che abitava costantemente il locale, figuriamoci se si fosse truccata o lavata con continuitá.
Il quartiere era dunque una comunitá autonoma, il medico locale che seguiva la salute di tutti gli abitanti aveva uno studio in una fattoria poco distante ed era anche il miglior produttore di mais della zona. Il che vuol dire che se qualcuno stava male o voleva del mais doveva solo comporre lo stesso numero e lui sarebbe giunto in pochi minuti in sella alla sua Vespa d´epoca.
Niente disturbava questa pace, niente aveva interrotto il normale fluire delle morti naturali se non quella remota eventualitá assurda.
Il Tir.

mercoledì 28 aprile 2010

Pensieri sparsi di una settimana onesta

Piú un chitarrista é inetto piú amerá far ondulare la stupida leva posta sul ponte delle corde.
Davvero, non c´é cosa che mi infastidisca di piú di vedere durante un assolo un povero pirla che tintilla quella leva come se volesse portarla ad un punto di eccitazione tale da provocarle uno squirting di corde.
Magari tutte in faccia e magari che lo sfigurano completamente arandogli le guancie.


Sono stato in un ristorante Pakistano a Vienna, non male come cucina devo ammetterlo. La cosa bella é che é tutto a Buffet, tu vai li e prendi quanto vuoi, quanto ti senti di mangiare.
Dal pozzo senza fondo alla ragazza che becca come un passerotto.
Ma la cosa ancora piú bella é che il piatto lo puoi riempire quante volte vuoi, con tutto quello che trovi sul buffet. Dal pollo al curry alle patate, dai ceci all´insalata con quella cremina bianca che tanto mi piace se é sul Kebap.
Ma non é finita, tu puoi aver mangiato come un porco, puoi esserti saziato da qui fino alla fine del mondo (2012 perché se no sono fottuto con le rate della macchina), puoi aver giocato con il cibo e aver fatto tupperware per portartelo a casa, tutto questo non importa.
Perché una volta che tutto é avvenuto ti ritrovi davanti alla cassa e la bella notizia é che paghi quanto ti senti. Paghi quanto vuoi.
Sei tu, la tua coscienza, la tua panza piú o meno piena e il sorriso di un Pakistano alla cassa.
Il sorriso di uno che non ti giudica, che non si sofferma sui brandelli di pollo rimasti incastrati nella barba, che non ti squadra per via dei 4 bottoni che hai dovuto slacciare su jeans per lasciare spazio ad una invadente pancia.
Paghi quanto ti senti.
Ora, la coscienza é una brutta bestia, io mi sono sentito in colpa, da un lato volevo pagare una cifra che fosse simbolicamente corretta, fare il ricco bastardo che tira fuori una banconota di taglia media, la sbandiera davanti agli studentelli senza grana e ai barboni elemosinanti e si innalza a livello paperondepaperonico.
Peró d´altro canto perché farmi figo, perché dare piú di quanto uno si aspetta, perché interrompere qualcosa che evidentemente funziona anche senza il mio supporto generoso, qualcosa che va avanti da anni con persone sicuramente meno coscienzose di me ma che nonostante tutto va avanti e si regge perfettamente in piedi.
Perché non guardare in faccia il beato Pakistano e domandargli:

"Ma davvero posso pagare quanto voglio?"
"Si."
"Anche un Euro?"
"Si."
"No dai, davvero, anche 10 centesimi???"
"Si..."
"Anche 100 euro???"
"Si!"
"Ti piacerebbe ricevere 100 euro per un piatto di riso e pollo vero?"
"Signore, lei puó pagare quanto vuole."
"Qual´é una cifra giusta secondo te?"
"Non esiste una cifra corretta, lei paga pensa di dover pagare."
"Io non penso a nulla, io penso che se foste in Italia sareste falliti nel giro di una settimana!"
"Si. Puó essere. Signore sta intralciando la fila, vuole pagare adesso?"
"No grazie, credo che staró qua a studiare quanto vi pagano in media e in base a quello decideró quanto pagarvi, se non ti dispiace."

Sarebbe stato figo avere un dialogo cosí, ma gli ho dato 5 euro, che sono la media di un qualunque buffet a ufo a Vienna, e me ne sono andato.


Mi piacerebbe molto avere il potere di generare nuvole. Anche nuvole cariche di pioggia, anche quelle bianchicce e lanose, anche quelle sabbiose e rade.


Mi é sempre piaciuta la sensazione di dolore si prova quando ci si toglie un dente. Fin da piccolo adoravo martoriarmi le gengive giocando masochisticamente con i denti da latte. Li facevo impazzire, appena sentivo che uno si muove appena appena iniziava la sua fine, la mia punizione indiretta. Girarlo nella gengiva pulsante, assaggiarne il sanguinolento retrogusto, compiacersi quando i movimenti diventavano sempre piú ampi e infine cadere nello sconforto dopo l´esecuzione di un 360° perfetto che quasi sempre culminava con la caduta e la fine dei giochi.
Ieri mi sono tolto il primo dente del giudizio, non che ne avessi veramente bisogno, si risvegliava ogni tanto e mi faceva capire quanto un emicrania puó condizionarti la vita, ma lo volevo togliere. E sentendo il dentista armeggiare con ferri vari nell´antro della mia bocca ho rispolverato quella vecchia sensazione di potere che si prova quando si decide su qualcosa di apparentemente inamovibile. I dentisti sono tutti dei sadici bastardi.
Specialmente quelli simpatici che mentre armeggiano nella tua bocca si permettono di fare battute e magari si irrigidiscono se vedono che non ridi. Ma come cazzo posso ridere se ho le tue mani piú ferri e tubi aspiranti dentro la bocca?
I dentisti sono dei sadici bastardi e sanno di esserlo.
Amano essere cosí.