lunedì 2 maggio 2011

La Regina di Ghiaccio e il Golem di Pietra.

Ci sono luoghi della terra popolati da esseri straordinari. Ci sono isole che non vedono mai la notte, foreste dove non smette mai di piovere, fiumi che trasportano acqua arcobaleno e montagne capaci di spostarsi per godere meglio di un bacio solare.

In una di queste isole viveva un Golem di pietra. Era un uomo alto e inamovibile, serio e cauto, pesante e insopportabile, forte e inarrestabile, solitario e scontroso. Amava stare fermo nei pressi di una cascata, amava il suono che produceva la rottura dell’acqua e amava la velocità con la quale rompeva la roccia. Lui ci aveva provato a farsi scalfire, si era messo sotto il flusso per parecchi mesi ma non servì a niente, il suo corpo era troppo duro anche per madre natura.
Così si era allontanato sconsolato e in poche settimane si era spostato di quei metri che servivano per avere una visione totale della cascata e una percezione perfetta del suono.
Il Golem non riusciva a stare con nessuno, allontava gli uccelli che volevano nidificare nelle sue orecchie ed emetteva forti sbuffi sulfurei per allontanare gli animali attratti dal muschio che gli cresceva sulla schiena.

Un giorno arrivò l’inverno. Non era la prima volta che il Golem vedeva la neve, ogni anno veniva sempre ricoperto fino agli occhi e riusciva a riguadagnare la vista solo in primavera. Ma questa volta era diverso.
Questa volta non voleva diventare cieco, questa volta voleva godere della visione della cascata anche durante il freddo.

Così passarono i giorni, giorni dove le piante morivano o si addormentavano, gli animali si rintanavano per proteggersi e l’acqua si congelava. In poco tempo il flusso della cascata divenne sempre più fievole, il rumore quasi impercettibile finché non si arrestò del tutto con la comparsa della Regina di Ghiaccio.

La Regina di Ghiaccio arrivava sempre quando l’inverno era iniziato da tempo, arrivava per chiudere le porte della natura e mettere tutti definitivamente a dormire. Chiudeva i rubinetti dei fiumi, sollevava le coperte nevose sui prati e cristallizzava le gemme sugli alberi. Lo faceva senza guardare in faccia nessuno, perchè nessuno aveva mai avuto la forza di guardarla negli occhi, quegli occhi appuntiti capaci di entrare dentro l’anima e congelarti all’istante. Quegli occhi curiosi e fieri che se fossero stati tolti dal suo corpo e messi nel cielo sarebbero diventati stelle lontane la cui luce poteva illuminare qualche pianeta sulla strada di casa.
Era abituata ad essere sola, a non sentire niente, a credere solo in se stessa e nel suo lavoro. Il Golem la osservava silenzioso, nascosto dalle folte sopracciglia muschiose. Lei camminava delicata, congelando fiori e generando neve. Poi si avvicinò al Golem e, avvicinando le dita alla bocca, soffiò delicatamente una valanga di neve sopra l’ignaro essere senziente.

“Ferma!” gridò il Golem con tutta la sua forza, così potente da spaccarsi le labbra, così deciso da pietrificare la Regina che, non avendo mai avuto contatti con nessuno, si spaventò cercando di difendersi.

Così inziò una lotta che mai nessuno aveva visto. Il Golem si alzò arrivando a mostrare la sua vera altezza e non mento se dico che a confronto gli alberi secolari li vicino sembravano bastoni da passeggio. La Regina si sentì minacciata da tanta imponenza e iniziò a tempestarlo di saette congelate che però lo solletticavano solamente. Il Golem in risposta iniziò a muovere le braccia montuose con lenta determinazione, allontanandola quel tanto che bastava per riuscire a ripararsi dagli attacchi.
La Regina si ritrovò con le spalle alla cascata di ghiaccio e fu li a capire come battere il Golem. Con la sua forza spaccò la cresta che teneva immobile il flusso dell’acqua e direzionò il getto contro il gigante di pietra che non oppose nessuna resistenza, sicuro della propria imbattibilità. Non appena fu ricoperto d’acqua la Regina si riempì i polmoni di tutto il suo gelo e gli soffiò addosso l’inverno dei tempi.

Ci vollerò pochi istanti e il Golem si ritrovò senza capacità alcuna di muoversi.
Era bloccato. La regina aveva vinto.

Ma lui non poteva cedere, era una creatura di straordinaria potenza e focosa passione celata all’interno di tonnellate pietrose. Da lontano si sentivano stridii acutissimi, come di montagne sfregate l’una contro l’altra. Era il Golem che, raccolte tutte le energie, cercava di liberarsi da questa presa.
Ma neanche lui conosceva l’entità della sua vera forza, se ne rese conto solo nel momento di massima pressione in cui vide la pietra di cui era composto iniziare a spaccarsi. E da queste ferite vive si preparava ad uscire qualcosa di cui aveva solo un lontano ricordo: la sua anima lavica. Diventò un uomo di magma in un istante, la pietra vulcanica di cui era composto era finalmente tornata viva, l’essere pacato che tutta l’isola aveva sempre ritenuto un monte in realtà era un vulcano.
Con rabbia investì la Regina di Ghiaccio, facendola saltare indietro per parecchi metri, sciogliendole le difese che si era costruita per preservarsi dal calore e dalla primavera.

Ma una volta abbassate le difese il Golem riuscì a vedere per la prima volta il vero aspetto della Regina, rendendosi conto di avere a che fare con una ragazza troppo bella per essere umana, troppo perfetta per non essere parte viva della terra.

Lei giaceva al suolo, tutto si stava sciogliendo, tutto nasceva di nuovo. Gli alberi e i prati pensarono di essere arrivati già alla primavera quindi sbocciarano senza timore. I fiori coloravano il giaciglio su cui il Golem la stese, arrabbiato con se stesso per aver ferito quell’essere così delicato.
La fissava negli occhi chiusi, godeva della sua pelle ritornata rosa, respirava quel suo profumo, il profumo di quei capelli che adesso si mescolavano con i fili d’erba, con l’edera, con i fiori.

Quando la Regina aprì gli occhi, per la seconda volta nella sua vita, sentì il battito del suo cuore che era tornato a pulsare dopo essere stato liberato da tutto il ghiaccio. Davanti a se aveva quello che restava di colui che una volta era un Golem di pietra, poi diventato vulcano, ed infine, una volta svuotato di tutta la furia repressa in quel corpo mastodontico, diventato uomo.

Lui la prese per mano, vedendo per la prima volta come erano le sue mani senza tutte le pietre che si era costruito attorno e fu felice di vederle così piccole, così calde, così normali. La strinse e lei si rese conto di poter sopportare quel calore, di volerlo sentire, di poter controllare il suo gelo.

Si baciarono, stendendosi sull’erba.

Quell’anticipo di primavera li fece innamorare, quell’anticipo di primavera diede la possibilità al ghiaccio e al fuoco di trovarsi insieme. Quell’anticipo di primavera turbò solo gli ecologisti, che ancora oggi non si spiegano il perchè della scomparsa delle mezzestagioni.

domenica 21 novembre 2010

La vera storia inventata di www.santaclaus.com

Correva l'anno 1998 quando, il giovane Seymoure Pawkins, venne folgorato dalla strabiliante idea di fornire al vecchio portatore panciuto di regali un identità telematica, diventando il fondatore di santaclaus.com. Seymoure era un ragazzo giovane, nonostante i lineamenti. Nato in un piccolo paese dell'entroterra americano, Blackwater Tennessee, era cresciuto in un ambiente informaticamente stimolante. Il padre, Nathan Pawkins, era programmatore in una piccola società di software per stampanti. Ma non di quei software che semplificano la vita o che fanno funzionare meglio. Il suo compito era quello di creare codificazioni sempre diverse di modo che ogni stampante avesse una percentuale di fallimento nell'installazione pari al 65%. Fu un vero affare per tutte le più grandi aziende del settore che in breve tempo si rivolsero a lui per creare problemi e quindi rendere impossibile il funzionamento corretto dei loro prodotti. Una variabile necessaria per tenere il compratore per le palle. Seymoure quindi sapeva benissimo come fare soldi, come farli velocemente e nel modo più scorretto possibile. Con il modico investimento di 34$ a quattordicianni era l'unico proprietario del dominio www.santaclaus.com. Grazie all'aiuto del padre in poco tempo aveva una mail perfettamente funzionante: dear@santaclaus.com, un sito pressochè mediocre con povere gif animate di renne dal naso rosso, uno sfondo luccicante di Babbo Natale che sorride delicato mentre il fuoco del camino illumina la stanza e l'indirizzo e-mail enorme e lampeggiante al centro. Ora gli serviva pubblicità, tanta. Visibilità, ancora di più. Ma soprattutto tanta, tanta fortuna. All'epoca google non funzionava ancora perfettamente e vi erano tanti altri concorrenti che ne minacciavano l'assoluta egemonia. L'algoritmo che lo regolava era imperfetto e nessuno sapeva se avrebbe retto alla prova delle masse che si stavano per affacciare sul web alla soglia del nuovo millennio. Così, per una serie di improbabili quanto fortunate coincidenze, fu proprio Sergey Brin (inventore di Google) a sentire il compulsivo bisogno di rendere la propria creazione un faro in questo mare di novità che era la rete. Era dicembre, di neve non se ne era ancora vista ma di spirito natalizio ce ne era fin troppo. La decisione fu rapida: Google doveva essere il motore di ricerca di Babbo Natale. Gli ci volle un attimo per trovare il sito di Seymoure e in men che non si dica ecco che la mail lampeggiava esattamente sotto la barra dove inserire l'oggetto delle ricerche. Seymoure faceva colazione come tutti i giorni, il sito era stato aperto ad aprile, largamente in anticipo rispetto alle festività. Fino ad adesso aveva ricevuto solo 3 mail. Tutte e 3 di un coetaneo suo vicino di casa che, con il suo 56k, lo sfotteva per aver buttato via dei dollari in un idea idiota. Dopo aver sparecchiato accese il computer, rimanendo alquanto sorpreso nel vedere che la sua casella postale aveva ricevuto 89 mail di bambini e genitori. Le lesse tutte quante con calma, ridendo per l'assurdità di alcune richieste. Era domenica, quindi non doveva andare a scuola e fuori era brutto tempo. Pensò di usare il tempo a disposizione per rispondere a tutti. In poco tempo e dopo tanti Oh-oh-oh aveva finito, era felice e si sentiva utile. Quella sensazione di gioia che ci da l'aiutare qualcuno, il dare speranza a chi non ne ha. In un attimo la mail fu nuovamente invasa. Da un lato era molto lusingato da tali attenzioni, da un altro iniziava ad essere spaventato. Gli ci volle l'intero pomeriggio per rispondere a tutti. Verso sera la casella era ingolfata da più di 3000 mail, alcune in triplice copia per essere sicuri. Qualunque essere umano normale sarebbe impazzito, Seymoure no. Iniziava a sentire in lui il potere della gioia natalizia. Si sentiva una divinità, anzi, ancora di più, si sentiva la festività per eccellenza. Lui, all'età di 14 anni, era diventato Babbo Natale. Passò tutta la notte a rispondere. In pochi giorni, data la sua straordinaria efficenza, mezzo mondo aveva ricevuto una cordiale mail di ringraziamento con un simpatico Oh-oh-oh dorato alla fine. Ma Seymoure sapeva di poter fare di più. Tutto quel sonno perso doveva iniziare a tornargli indietro sotto forma di denaro. Così iniziò ad inserire le coordinate bancarie del suo conto da studente, esattamente dopo la firma Oh-dorata. Ma fu ben attento dal non specificare nelle lettere di fare un versamento. Non voleva essere accusato di truffa, quindi lui lo mise là, in piccolo, appena leggibile. Uno spunto. Una cosa talmente assurda che solo un idiota ci sarebbe potuto cascare. E il primo idiota fu Walter J. Beaff, canadese d'adozione. Era talmente emozionato dall'aver ricevuto risposta da Babbo Natale che non ci pensò su due volte e fece il versamento. Il ragionamento fu semplice: ho chiesto a Babbo Natale le nuove scarpe della Nike magiche che fanno fare i salti come Michael Jordan, lui ha detto che mi può mandare la parte magica ma che la parte scarpa deve procurarsela come tutti quanti, quindi io gli anticipo il costo della scarpa, lui penserà poi al resto. Walter J. Beaff aveva 34 anni, credeva in Babbo Natale ed era idiota dalla nascita. Oramai era passata una settimana, Seymoure, per riuscire a rispondere a tutte le mail, fingeva di essere malato da altrettanto tempo. Non viveva più se non per digitalizzare una risposta ai sogni del mondo intero. Venerdì mattina fu la banca del suo paese ad essere sorpresa. La madre di Seymoure ricevette la telefonata da un impiegato che le diceva di essere mortificato a nome della struttura per cui lavorava, ma che non potevano più fornirgli il servizio fino ad adesso assicurato. Il conto del figlio aveva fatto aumentare il capitale interno del 300% ed era oramai insostenibile riuscire a garantire una liquidità così imponente. Così le chiesero gentilmente di spostare almeno una parte dei soldi presso una struttura più adatta alle sue esigenze. La madre non capiva, pensò ad uno scherzo di cattivo gusto e corse in banca per parlare con il titolare. Fu un ambulanza a riportarla a casa. Era svenuta quando, domandando l'importo del conto del figlio, le era stata risposta una cifra che si aggirava intorno ai 10 milioni di dollari. Seymoure era così diventato contemporaneamente sia il più giovane Babbo Natale che la storia avesse mai conosciuto che il più giovane milionario che internet avesse mai generato. Una volta sveglia iniziò a martellarlo di domande, voleva sapere da dove venivano tutti quei soldi, in che cazzo di casino si era andato ad infilare. Ottenne risposta soltanto quando il padre tornò a casa da lavoro. Insieme ricostruirono l'assurda storia che li aveva portati ad essere i genitori di un truffatore così abile quanto dedito al suo ruolo. Ma oramai, alla luce dei fatti, era impossibile restituire i soldi a tutti. Anche volendo non sarebbero mai riusciti a risarcire tutti i donatori senza l'aiuto della banca che li aveva appena scaricati. Fu allora che a Seymoure venne un altra idea. Se Babbo Natale fosse esistito veramente adesso starebbe preparando tutti i regali, aiutato dai folletti e dalle renne. Gli serviva qualcuno che andasse a comprare i regali, qualcuno che lo aiutasse nell'imballarli e ancora qualcun'altro che lo aiutasse a spedirli. Al sentire quelle parole i suoi genitori si arrabbiarono con lui ancora di più, fu il loro avvocato a convincerli che forse quella era davvero la soluzione più semplice e logica per questa delicata questione. Grazie ad alcune conoscenze altolocate riuscirono a convocare in brevissimo tempo una riunione d'emergenza all'interno del municipio di Blackwater. Erano arrivati tutti, i rappresentanti dei negozi del paese, il responsabile delle poste, il direttore della locale fabbrica di cartoni, l'associazione Anziani per i Bambini, il centro Lavoro per Messicani e il direttore della scuola. Convennero tutti che il tempo era poco e che non sarebbero mai riusciti a fare davvero tutti quei regali, che le poste non sarebbero mai state in grado di spedire tutti quei pacchi e che era praticamente impossibile mettere ordine in tutto quel casino. Fu nuovamente Seymoure a capire che bisognava mettere in riga questa massa di adulti senza fantasia in quel momento di confusione e frustrazione. Carico della posizione che internet gli aveva affidato si rimboccò le maniche e iniziò a dare ordini a tutti. I negozianti, guidati dalle migliaia di email stampate grazie all'aiuto del padre redento di Seymoure, fecero degli improvvisi ordini di massa dai loro fornitori, che furono ben felici di soddisfare. Nel frattempo, gli anziani dell'associazione Anziani per i Bambini e i messicani del centro Lavoro per Messicani, iniziarono a preparare le scatole, prese dalla vicina fabbrica di cartoni, finalmente felice di essere utile per la comunità. Nel giro di una settimana interminabile tutto era quasi pronto. Ogni autoveicolo del paese venne utilizzato per trasferire i pacchi, che per necessità di spazio erano stati imballati nella scuola locale, verso il centro smistamento delle Poste. Fu proprio questa fase finale quella più delicata. E fu proprio in questa fase che subentra la fantascienza natalizia. Nessuno sa esattamente che cosa successe, ma per la prima volta dopo 150 anni dalla sua fondazione, il sistema delle poste americane funzionò. Non meglio o peggio rispetto al passato. Semplicemente, funzionò. In quella settimana, l'ultima di Dicembre, furono spediti ben 4677 scatole contenenti i più disparati desideri che il mondo avesse mai generato nella sua totale innocenza. Il 25 sera, Seymoure e la sua famiglia rientrarono a casa stremati, consapevoli di aver fatto qualcosa di incredibile. Di averlo fatto soprattutto per gli altri, perchè la loro casa era vuota, senza nessun addobbo, solo stampanti e carta, ovunque, carta piena di desideri altrui. Il conto banca era stato svuotato, così come i negozi locali che registrarono un incasso mai visto. Il piccolo paese di Blackwater Tennessee era diventato ufficialmente la succursale minore del polo nord. Seymoure Pawkins, da milionario, era tornato ad essere un ragazzino con un sito scomodo. Nello stesso momento, in un altra nazione, Walter J. Biff stava scartando uno strano pacco che gli era arrivato dall'america. Erano le sue scarpe, le sue Air Jordan della Nike, modificate con un pennarello dorato. Ai lati Seymoure aveva pensato bene di aggiungere a mano la scritta: magic is in the Air Jordan. Il giorno seguente Walter J. Biff si svegliò presto, sovreccitato da quell'inaspettato regalo, indossò le scarpe e corse in strada per provarle. Fu portato d'urgenza in ospedale il pomeriggio stesso, nella foga del momento aveva eseguito una perfetta schiacciata senza calcolare però che il suolo del campo nel quale si allenava sempre era diventato una lastra di ghiaccio. Babbo Natale può rendere magiche delle scarpe, ma non può renderti meno idiota di quello che sei.

sabato 30 ottobre 2010

Occhi che tubano.

Prendi un essere umano, mettigli il potere fra le mani, digli di fare ciò che vuole.
Agirà per se.

Non si era mai fidato degli uomini, non capiva perchè fossero stati creati. Quando si muoveva fra di loro si sentiva sporco, contagiato dal loro odore, dalle loro risate. Non riusciva a smettere di fissarli negli occhi quando piangevano, doveva vedere quanto orribile diventava il volto una volta che le lacrime iniziavano a sgorgare. Non si capacitava del loro bisogno di successo, di essere amati.
Ne uccideva qualcuno ogni tanto, giusto per abbassare la tensione. Lo faceva con calma, lo faceva per umiliarlo. Non riusciva a provare pietà durante le catastrofi, non riusciva a non sorridere davanti alle stragi.
Odiava il mondo e ciò che ci camminava sopra.
Odiava gli anziani in fila alla posta, i mendicanti fuori dai supermercati, le ragazze ben vestite nei negozi di moda. Odiava gli imprenditori e i loro Ipad, gli edicolanti e i loro freddi baracchini di giornali inutili che parlano solo di altri esseri umani inutili. Odiava la musica suonata, la parola recitata, l'emozione dipinta.
Odiava tutte quelle cose che un piccione di 78 chili non può capire.

Prendi un volatile, mettigli il potere fra le ali, digli di fare ciò che vuole.
Lo lascerà li per poter tornare subito a volare.

lunedì 27 settembre 2010

Anima Nera

Strati di gelatina per impressionare i capelli e renderli immuni alle intemperie e al vento, aggiungiamo anche al sudore che si genera ballando vigorosamente per nottate intere al ritmo di canzoni anni 50. Giradischi che gracchiano note di chitarre appena distorte mentre una serie infinita di piedi battono violentemente il suolo facendo sobbalzare la puntina e regalando attimi di pausa mentre il selezionatore di dischi, che non ha mai voluto fare quel lavoro, repentinamente corregge e pulisce da graffi impolverati la superficie vinilica delle loro danze.
Alla fine era un rifugio dagli occhi dei paesani che continuavano a puntarli, seguendo le loro azioni quasi attendendo un errore. Essere diversi in una società fatta di uguali voleva dire lampeggiare nella notte e rendere il colore della propria pelle, che nella notte trova la sua gemellanza, un segno di riconoscimento luccicante.
Luccicante come le fronti di tutti i ballerini che, per dimenticare l'odio, sudavano fino a svenire a terra distrutti, completamente disidratati, felici e liberi.
Liberi per modo di dire, terminato il buio il sole li riportava nel luogo in cui vivevano. Tornavano a servire famiglie ricche, a coltivare piantagioni di mais, a pulire stoviglie, ad essere maltrattati.

"L'ho trovata ieri nel giardino dietro casa dei Buick"
"Cavolo, ma era nascosta?"
"Si l'avevano appena sotterrata, ma con tutte le piogge della settimana scorsa è uscita fuori, era in una scatola di latta"
"Ah ecco perchè è così pulita! Posso tenerla in mano?"
"Non lo sò, sei grande abbastanza?"
"Si che lo sono! oramai ho 11 anni!"
"Ma si dai, tieni, tanto è scarica..."
"Cavolo ma è pesantissima! Ma hai provato a vedere se funziona?"
"Non ancora"
"E perchè no? potremmo andare ad allenarci dietro il vecchio capanno"
"Non voglio, non è il momento giusto"
"Dai andiamo a divertirci un pò solo io e te! Non lo diciamo a nessuno!"
"Ti ho detto di no! Numero 1 tu hai 11 anni e non dovresti giocare con certe cose, numero 2 nella scatola c'era solo un proiettile e non voglio usarlo per divertirmi e basta."

venerdì 10 settembre 2010

Non è stata una grande idea.

Fare l’aggiornamento dell’Iphone stanotte prima di andare a dormire.
Alle 03:47 era ben lungi dal concludersi e io non riuscivo ad addormentarmi con il pensiero che la mia unica sveglia potesse non funzionare.
Quindi sono rimasto con gli occhi sbarrati a fissare il riempimento di una barra blu, ripetendomi continuamente che il gioco valeva la candela.

Ora fisso questo argagno tecnologico con la nuova messa a punto che mi ha rubato del sonno prezioso e mi domando: a che cazzo serve aggiornarsi di continuo?

Non è corretto, la velocità con la quale diventiamo obsoleti non rispetta il corso naturale della vita di un uomo. Mi viene da pensare a come si poteva diventare obsoleti negli anni passati.

Uomo di Neanderthal 1: “Ma sei cretino? Mangi ancora la carne cruda? Ma non sai che hanno scoperto il fuoco adesso?”
Uomo di Neanderthal 2: “Sei tu che sei cretino, questo è sushi! Và un casino quest’anno!”

No, questo non era un grande esempio.

Però avete capito cosa voglio dire.

Il dubbio della formica.

“Quindi mi stai dicendo che il mio destino é l´essere infelice per sempre?”
“Nooo, per sempre é un lasso di tempo troppo lungo, direi piuttosto l´essere infelice fintanto che dovrai avere a che fare con te stesso…”
“Mmm. Quindi non ho via di scampo?”
“Puó essere, vedi, il tuo destino é comune a quello di molti altri esseri umani che hanno il tuo stesso problema, ovvero l´essere delle eccezioni che la natura non prende in considerazione.”
“Spiegati meglio.”
“Prendiamo un esempio di comunitá perfetta, dove tutti lavorano per un bene comune a prescindere dalla felicitá propria. Direi che il formicaio calza a pennello. Allora, in un formicaio tutte le formiche collaborano costantemente per riuscire a prosperare e vivere, con il minimo interesse verso la realizzazione propria. Molte vite si spengono per dare spazio a vite altrui che mai si incontreranno se non per millesimi di secondo in uno spazio dove tutto é regolato da un istintivo ordine trascendentale. Abbiamo le operaie, che lavorano per la societá creando case, canali, strade, procurandosi il cibo, producendo beni che probabilmente non sfrutteranno mai. Abbiamo le soldato, il cui scopo é difendere la comunitá dagli attacchi esterni e supervisionare il lavoro delle operaie e infine abbiamo quelle adibite alla riproduzione, ovvero le regine. Seguimi con attenzione ora: fra tutte queste categorie le uniche che copulano sono le regine perché femmine. Vedi, una grande divisione che ho trascurato per dare un pó di suspance é che prima ancora del loro scopo per la societá le formiche si dividono in due grandi categorie: le fertili e le sterili.”
“Non capisco dove vuoi arrivare, sembra che tu stia cercando di vendermi come soluzione il comunismo passando attraverso degli insetti.”
“Pazienta amico, pazienta. Quello che voglio dire é questo. Applichiamo ció che ho elencato fino ad adesso al genere umano. Semplificando notevolmente anche noi ci dividiamo in queste categorie: gli operai che producono, che comprendono gli impiegati, gli avvocati, i produttori cinematografici, gli scrittori, i panettieri, gli artisti, le ballerine, i calciatori, i giornalisti, i muratori, i geometri e chi piú ne ha piú ne metta, in pratica tutto il genere umano attivo. Abbiamo poi i soldati che difendono, divisone sottilissima se applicata all´uomo ma importante, essi sono come le operaie, lavorano anche loro per un bene ma, a differenza della passivitá operaia, combattono per un bene migliore per se stessi. Una specie solitaria che usa la propria abilitá per emergere dal lavoro operaio. Infine abbiamo le regine. Sarebbe restrittivo applicare il termine regina al solo mondo femminile. Per quanto possa sembrare calzante peró esclude la peculiaritá di questa categoria. Le regine sono presenti ovunque, esse non sono ne operaie, dunque utili, ne soldati, dunque ambiziosi, esse sono consapevoli. Consapevoli del proprio ruolo e della loro capacitá moltiplicativa. Ce ne sono poche nel mondo, ma comunque ce ne sono. Si nascondono spesso in massaie, in impiegati insospettabili, in leader carismatici, in pezzenti sgangherati. Ma ce ne sono migliaia, forse milioni. Ogni regina é consapevole di se ma esclude l´esistenza di altre simili a lei. Le troviamo negli atteggiamenti di chi si aspetta di essere servito ma anche di chi serve sapendo di stare facendo qualcosa per cui non é destinato. Mescolando un pó di psicologia spiccia possiamo dire che gli operai producono senza porsi domande, i soldati producono per non avere domande e le regine domandano per non produrre.”
“E io cosa centro in tutto questo? Ho un lavoro, só di essere bravo in quello che faccio e mi permetto di tentare anche altre strade nella speranza di ottenere un miglioramento.”
“Ecco, hai individuato il punto. Tu sei il fallimento di tutte queste categorie.”
“Fottiti!”
“No no no, non ti offendere, aspetta. Vedi, tu non sei un operaia perché fai quello che fai non per la societá e neanche per sopravvivere, lo fai per avere un appiglio, una rete di salvataggio. Non sei neanche un soldato perché lotti appena in altre direzioni, tentando timidamente di emergere dalla massa e non sei neppure una regina perché continui a porti domande sul tuo ruolo, escludendoti dunque la consapevolezza che ti serve per adagiarti sulla tranquillitá. Tu sei quello che io amo definire “il dubbio”. Sei come una figura geometrica di quei giochi per bambini che si usano all´asilo, quelli dove devi infilare le forme nel giusto foro, la stella nella stella, il cerchio nel cerchio, il quadrato nel quadrato. Tu sei una figura che volendo potrebbe entrare dove vuole ma che, a causa della sua forma incerta, si autoesclude dal gioco.”
“Ora mi stai dicendo che la mia infelicitá é autoindotta da una totale incapacitá di adeguamento e da una propensione all´autodistruzione tramite il dubbio?”
“È una definizione molto restrittiva ma puó pur sempre calzare.”
“Ok, peró non sono stato io a dire Il dubbio è scomodo ma solo gli imbecilli non ne hanno.”
“No, quello lo ha detto Voltaire. Vedi, Voltaire non era come sei tu, lui ha prodotto qualcosa. Per quanto razzista puó essere stato qualcosa di suo ci é arrivato. Tu al massimo aggiorni il tuo blog ogni tanto.”
“Ció non fa di me uno scrittore, ne sono ben consapevole. Ne mai ho pensato di esserlo.”
“Vedi che non agisci? Vedi che ti accontenti ma contemporaneamente sogni di non farlo? Vedi che non ti adegui ad un ruolo? Sei persino piú inutile di un ignavo.”
“La cosa incredibile é che, nonostante tutto, non riesco neanche ad offendermi oggi.”
“Questo é perché non sei fertile.”
“Scusa?”
“Non ho finito con le formiche. Abbiamo visto che non appartieni a nessuna delle categorie utili per la societá, che non sei uno che agisce, non sei uno che lotta e non sei neanche uno che si adagia. Tutte queste categorie sono peró controllate da un sistema a due soluzioni: il successo e il fallimento. La fertilitá e la sterilitá. Per non creare disordini nella societá le operaie dovranno rimanere sempre sterili, vivendo felici nel loro ruolo, ci saranno poi le soldato che non contente della loro sterilitá lotteranno per arrivare al successo e poi ci sono le regine, nate fertili e consapevoli. Tu hai lo strano dono, inquanto non categorizzabile, di poter scegliere se essere fertile o no. Il punto della questione peró é che tu non sceglierai mai, perché destinato al dubbio. Credo che se tu avessi una buona percentuale in meno di fantasia avresti piú contatto con la realtá e di conseguenza prendersti una decisione senza troppe domande. Da qui nasce la tua infelicitá e la condanna ad essere sempre in conflitto con te stesso.”
“Tutto ció non é facile da digerire, te ne rendi conto?”
“Non ti preoccupare, non mi aspetto tu capisca, se ti adeguassi al tuo destino spezzeresti la magia che ti circonda. Comunque ti ho giá detto di non spaventarti. Non sei solo.”
“Vuoi forse dirmi che anche tu sei un dubbioso come me? In tutto questo, tu dove ti posizioni?”
“Io? Io sono un cazzo di formichiere.”

mercoledì 18 agosto 2010

L´inutilitá dello sport e la sua salvezza.

Ragionando sulla diversificazione delle abilitá umane ci si rende conto che spesso, per far vincere un pó tutti, sono stati fatti nascere sport completamente inutili. Credo sia lampante il fatto che ci troviamo davanti a sotterfugi organizzati da sconfitti che, per provare il gusto di eccellere in qualcosa o di saggiare con la pelle la consistenza dell´oro, hanno inventato sempre piú diversificate e inutili categorie di competizione.

Mi riferisco a sport come:
- il curling e l´hockey
- le inutili categorie diverse fra le corse di moto
- la formula uno e tutti gli sport a motore
- le canoe a 2-4-8 o piú vogatori
- la pallavolo e la palla a mano
- i diversi metri di altezza nei tuffi
- le diverse distanze nelle corse e la presenza o meno di ostacoli nel percorso
- le diverse distanze e i diversi stili nel nuoto
- la divisione fra esibizioni di nuoto sincronizzato e di danza
- le varie modalitá con le quali si sparano a bersagli fissi o mobili
- i diversi tipi di salto in lungo
- i diviersi modi di saltare piú in alto
- i diversi modi di trattare la palla con i piedi o con le mani
- le impercettibili differenze fra baseball e softball
- le ibridazioni quali l´hockey sulla terra e lo skiroll
- la vela e tutte quelle gare che non partono mai a causa del vento
- la divisione fra sport maschili e sport femminili

Ecco, questo é solo un piccolo elenco degli sport inutili e delle inutili diversificazioni che hanno generato. Ma andiamo avanti, per me esiste una soluzione per ridare finalmente forza alla competizione. Si tratta di unificare e semplificare le cose, eliminare le barriere invisibili per dare vita ad un coinvolgimento agonistico senza precedenti.

Immaginate il vedere due squadre di persone che scendono sul ghiaccio indossando pattini, togliendo le divisioni fra tutti gli sport di squadra che si giocano in questo modo. Persone con mazze che pattinano veloci per contendersi il tiro di un dischetto di dimensioni maggiori con lo scopo ultimo di farlo passare attraverso ad una porta. Una volta che é entrato girano la mazza e utilizzano il retro, che per l´occasione é una scopa, per pulire la traiettoria del disco e portarlo a segnare un punto maggiore se esso centra il bersaglio.

Immaginate la maestositá di vedere unite tutte le diverse tipologie di motori e mezzi a due o piú ruote racchiuse in una sola gara, dove solo il piú veloce e il piú bravo vince. Moto e formula uno insieme, Valentino Rossi a cavallo di una Yamaha che insegue Alonso su una Ferrari, dietro a loro una serie di macchine da Paris Dakar e moto che vanno dal Chopper al Quad fino ai prototipi segreti. Dare vita ad una specie di "Mario Kart" per esseri umani.

Immaginate che ai canoisti venga posta la domanda: vuoi vincere? ecco allora scegli tu con quanti vogatori presentarti! Basta divisioni per numero, gli si da uno spazio e ognuno sceglie da se, se la squadra di 4 funziona meglio di quella da 8 sono cazzi della squadra da 8. L´importante é vincere, non conta con quanti uomini ti presenti. Certo, potranno presentarsi squadre con 40 elementi, ma li sono cazzi loro il sincronizzarsi e soprattutto il costruirsi il mezzo.

Immaginate la pallavolo e la pallamano unite, magari con qualche spruzzata di basket e un aggiunta finale di rugby. Un giocatore prende la palla e la lancia in alto, arriva il compagno che la schiaccia su di un avversario colpendolo, ecco che l´avversario adesso é costretto a palleggiare finché non sará salvato da un compagno di squadra che gli dará di nuovo il permesso di alzare la palla. Ma in modalitá palleggio puó districarsi fra tutti i giocatori e correre nel campo opposto, passando sotto la rete, cercando di fare canestro con un tiro ma naturalmente ecco che puó essere bloccato con un placcaggio da un altro giocatore che si é fatto colpire anche lui, perde la palla ed é eliminato. Qui abbiamo un doppio miglioramento unendo a sport dove il contatto fisico é vietato la fisicitá del rugby, aumenterebbe la spettacolaritá e nessuno romperebbe piú il cazzo all´arbitro.

Immaginate la semplificazione dei tuffi, basta divisioni per altezze, per numero di tuffatori, per difficoltá di esecuzione. Due sole grandi categorie: il tuffo articolato, ovvero piú figo lo fai meglio é, e il tuffo a bomba. Cosí ci si diverte alla grande. O vai a vedere dei superatleti fare delle evoluzioni da paura o vai a vedere dei superciccioni originare dei maremoti e piccoli tsunami su di un pubblico partecipe.

Immaginate la nuova vita delle corse: si prendono tutti i corridori e li si dispongono su una fila, in un circuito adibito a questo genere di attivitá. Gli si mette davanti un ghepardo ammaestrato con un fiocco legato alla coda. Al via viene liberato il ghepardo, che corre dietro ad un qualcosa che gli da la voglia di correre al massimo della velocitá. Lo scopo dei corridori é dunque il prendere quel fiocco, ma ecco che la natura selezionerá il vincitore: sará un velocista che, nei primi 100 o 200 metri grazie ad uno scatto felino, la scamperá afferrando il fiocco o sará un paziente maratoneta che aspetterá che la bestia sia esausta, magari dopo chilometri e chilometri, per toglierle con calma l´oggetto della contesa?

Immaginate un nuoto dove ognuno fa un pó quel che cazzo gli pare, un nuoto dove con "stile libero" si dia la possibilitá di essere liberi veramente. Rana, delfino, dorso, farfalla, tutti nomi per inscatolare un semplice movimento di arti. Spazziamoli via tutti. Mettiamo in una piscina bella lunga un tot di nuotatori e facciamogli inseguire qualcosa di analogo ai corridori su terra. Un delfino credo che possa andare bene dai. Poi vediamo chi si stanca prima.

Immaginate coerografie di danza fatte sia in acqua che in palestra, con alternarsi di colpi di scena dentro e fuori, costume e nastro, una specie di circo di abilitá dedito solo al sollazzo del pubblico.

Immaginate che tutte le divisioni fra sport in cui si spara o si tirano frecce vengano uniti. Un solo unico bersaglio che dopo le prime 5 volte che lo hai colpito inizia a muoversi fino a staccarsi da terra ed iniziare a volteggiare, sta al tiratore poi cambiare arma e passare a quella piú consona per svolgere il compito.

Immaginate che si unisca finalmente il salto in alto con il salto in lungo per dare in vita al "salto in lá". Non si calcolerá piú la distanza sull´asse x o sull´asse y bensi sulla diagonale fra le due. Quindi bisognerá scegliere con intelligenza come svolgere questo sport dalle novitá geometriche, meglio saltare con un asta e poi lanciarsi verso una lunghezza maggiore o meglio puntare magari ad un autolanciarsi attaccati ad un peso dopo una rotazione che punta ad un icarontica salita?

Immaginate che questa assurda divisione fra calcio e football venga finalmente soppressa. Partendo dal presupposto che vogliono dire la stessa cosa ma in lingue diverse e che questa diversitá sia solo uno scontro politico fra nazioni antagoniste ecco che ci si presenta l´occasione per dare una lezione a quei fighetti del calcio. Una volta uniti direi di dare in pasto ai giocatori di football le fragili gambine dei calciatori nostrani, giusto per insegnargli cos´é uno scontro fisico, cos´é un fallo. Il gioco resterebbe piú o meno invariato, undici contro undici, palla che si deve toccare con i piedi se si vuole segnare e con le mani se si vuole avanzare, dinamiche quindi quasi invariate salvo per i 4 portieri che ogni squadra ha. Perché 4 portieri? Perché le porte restano a 4,5 metri da terra. Quindi queste colonne umane devono adoperarsi in bulgare prove di equilibrio per evitare di subire un gol. Naturalmente durante il gioco ogni entrata é lecita secondo il regolamento del football, sono lecite anche protezioni di vario tipo ed é lecito organizzare strategie di vittoria che comprendano il pestaggio o la menomazione degli avversari. Tutto questo perché credo che legalizzando la violenza i calciatori inizierebbero a considerarsi un pó piú umani e perderebbero quella spocchia che li contraddistingue.

Immaginate il ping pong e il tennis insieme, una racchetta che é una via di mezzo, un tavolo piú basso e molto piú grande sul quale puoi salire, una pallina simile ma piú adatta a questo utilizzo.

Naturalmente tutte gli sport nati per semplificare avrebbero il diritto di far estinguere gli sport che gli hanno dato vita, che sarebbero dunque banditi causa mancanza di senso.


Vedete, si possono trovare miliardi di soluzioni per risolvere i problemi dello sport. Con meno categorie ci sarebbero meno canali sulle tv private, quindi la gente dovrebbe spendere di meno per vedere queste spettacolari unioni. Gli stadi sarebbero punti di raccolta dove ogni volta ci si incontra con persone inizialmente di fede diversa ma che alla fine si ritrova nella passione per la competizione.
Quando tutto é piú semplice solo gli sportivi piú puri riescono a vincere.